Il Museo Criminologico nasceva nel 1930 e con esso l’Amministrazione penitenziaria realizzava un progetto che già negli ultimi decenni dell’Ottocento era considerato un utile supporto per lo studio del sistema penale e penitenziario, oltre che strumento scientifico per la formazione di funzionari e magistrati e di divulgazione al tempo stesso.
Per alcuni decenni il Museo Criminologico ricevette grandi apprezzamenti anche all’estero grazie alla ricchezzadel patrimonio storico e scientifico che custodiva; le vicende storiche successive lo costrinsero ad un graduale ridimensionamento fino alla chiusura che avvenne nel 1968. Nel 1991 fu avviato il progetto di ristrutturazionecompletato nel 1994.
Lo studio dei sistemi penitenziari e della criminologia vivono un rinato interesse e il Museo Criminologico costituisce una preziosa testimonianza storica sui sistemi punitivi del passato e uno strumento didattico per le scuole e gli istituti di formazione. Fin dalla sua riapertura i curatori hanno avviato un’attività di tutela e conservazione del patrimonio storico e documentale unico in Italia.
L’esposizione, tra i tanti reperti in mostra, di antichi strumenti di punizione e di esecuzione capitale, testimonia la crudeltà dei sistemi punitivi del passato, contrapposti alle finalità della pena sancite dalla Costituzione, principi su cui si fonda l’Ordinamento penitenziario vigente. Questo è soltanto un aspetto che concorre a delineare il suggestivo percorso che si snoda nelle sale del Museo Criminologico, che offre spunti di riflessione per chi voglia approfondire temi che riguardano ambiti meno noti della nostra storia.
La storia del carcere e della giustizia può essere narrata anche attraverso il recupero della memoria che risiede nei luoghi, negli oggetti, nei documenti fotografici e d’archivio, attività in grado di fornire alle nuove generazioni gli strumenti interpretativi di una realtà in gran parte sconosciuta.
“Un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice, né la società può toglierli la pubblica protezione, se non quando sia deciso ch’egli abbia violati i patti coi quali le fu accordata. Quale è dunque quel diritto, se non quello della forza, che dia la podestà ad un giudice di dare una pena ad un cittadino, mentre si dubita se sia reo o innocente? Non è nuovo questo dilemma: o il delitto è certo o incerto; se certo, non gli conviene altra pena che la stabilita dalle leggi, ed inutili sono i tormenti, perché inutile è la confessione del reo; se è incerto, e’ non devesi tormentare un innocente, perché tale è secondo le leggi un uomo i di cui delitti non sono provati.”
(Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, § XVI. Della tortura)
“Un altro ridicolo motivo della tortura è la purgazione dell’infamia, cioè un uomo giudicato infame dalle leggi deve confermare la sua deposizione collo slogamento delle sue ossa. Quest’abuso non dovrebbe essere tollerato nel decimottavo secolo. Si crede che il dolore, che è una sensazione, purghi l’infamia, che è un mero rapporto morale. E’ egli forse un crociuolo? E l’infamia è forse un corpo misto impuro?”
(Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, § XVI. Della tortura)
“Qual può essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare i loro simili? Non certamente quello da cui risulta la sovranità e le leggi. Esse non sono che una somma di minime porzioni della privata libertà di ciascuno; esse rappresentano la volontà generale, che è l’aggregato delle particolari. Chi è mai colui che abbia voluto lasciare ad altri uomini l’arbitrio di ucciderlo? Come mai nel minimo sacrificio della libertà di ciascuno vi può essere quello del massimo tra tutti i beni, la vita?….. “Non è dunque la pena di morte un diritto, mentre ho dimostrato che tale essere non può, ma è una guerra della nazione con un cittadino, perché giudica necessaria o utile la distruzione del suo essere. Ma se dimostrerò non essere la morte né utile né necessaria, avrò vinto la causa dell’umanità”
(Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, § XXVIII. Della pena di morte, 1764)
“Col nome di Tortura non intendo una pena data a un reo per sentenza ma bensì la pretesa ricerca della verità co’ tormenti….I fautori della Tortura cercano di calmare il ribrezzo che ogni cuore sensibile prova colla sola immaginazione del tormento. Poco è il male dicon essi che ne soffre il torturato, si tratta d’un dolore passeggero per cui non accade mai l’opera di medico o cerusico, sono esagerati i dolori che si suppongono. Tale è il primo argomento col quale si cerca di soffocare il naturale raccapriccio che alla umanità sveglia la idea della Tortura.”
(Pietro Verri, Osservazioni sulla Tortura, 1777)
“Perché un governo non abbia il diritto di punire gli errori degli uomini è necessario che questi errori non siano delitti; essi sono delitti solo quando turbano la società: e la turbano non appena ispirano il fanatismo. E’ necessario dunque che gli uomini comincino con il non essere fanatici per meritare la tolleranza.”
(F. M. A.Voltaire, Trattato sulla tolleranza, 1763)
“… Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”
(Costituzione della Repubblica Italiana, art. 27)
“Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti”
(Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo – New York 10 dicembre 1948, art. 5)