Immagine1Le “raccolte criminali” sul finire dell’Ottocento

Negli ultimi decenni dell’Ottocento, in Italia, come in altri Paesi europei, si discuteva della riforma delle carceri. Le ricerche di Cesare Lombroso - padre dell’Antropologia criminale - sull’uomo delinquente, gli studi dei sistemi penitenziari e gli interventi per il miglioramento delle condizioni delle prigioni, concorsero a creare un intenso dibattito parlamentare che approdò alla prima riforma delle carceri del Regno d’Italia, emanata nel 1891. L’interesse per gli studi sulle cause e sulla “cura” dell’uomo delinquente, diffusosi in tutta Europa, concorse alla nascita dei musei dedicati al fenomeno della delinquenza, ai sistemi penitenziari, alla polizia scientifica e agli antichi strumenti di punizione. In Italia una prima raccolta fu organizzata nella scuola per gli allievi agenti di custodia, istituita nel 1873 presso il carcere romano delle Mantellate. Alcuni anni dopo, per iniziativa del direttore generale delle carceri Martino Beltrani Scalia, la raccolta fu ampliata con reperti anatomici, modelli di istituti penitenziari e mezzi di contenzione. L’auspicio era che la raccolta potesse in futuro museo permanente del ministero di Grazia e Giustizia.

Nella seconda metà dell’Ottocento, in occasione dei Congressi penitenziari internazionali, si diffuse anche la pratica di allestire mostre ed esposizioni internazionali nelle quali gli Stati partecipanti presentavano i prodotti delle lavorazioni agricole, artigianali e industriali delle prigioni, modelli architettonici di edifici penitenziari, studi e ricerche di igiene e profilassi carceraria. In Italia la prima esposizione di prodotti carcerari fu presentata nel 1885, nell’ambito del Congresso penitenziario internazionale di Roma, altre esposizioni si susseguirono fino al 1912.
Intanto Cesare Lombroso, già dal 1878, a Torino aveva allestito un museo privato dove conservava una collezione di oggetti collezionati frequentando le carceri in qualità di medico alienista oppure raccolti nel corso di viaggi suoi o inviatigli da colleghi stranieri. Passarono alcuni anni e la raccolta privata di Lombroso trovò accoglienza nei locali messi a disposizione dall’università di Torino. Il museo di psichiatria e antropologia criminale di Lombroso fu ufficialmente inaugurato nel 1892.

La prima proposta per la realizzazione del museo criminale italiano dell’Amministrazione penitenziaria fu avanzata dal direttore generale delle carceri Alessandro Doria nel 1892. Allo scopo di ottenere materiale per gli studi di Antropologia criminale e di medicina legale, il Regolamento carcerario del 1891 autorizzava le cattedre universitarie a prelevare, per scopi di ricerca scientifica, parti anatomiche dei detenuti deceduti in carcere. Parte di questi reperti erano inviati nella Scuola di segnalamento della Polizia scientifica di Roma, fondata da Salvatore Ottolenghi nel 1904, situata presso l’edificio delle Carceri Nuove a Via Giulia. In questa sede, per finalità didattiche, erano raccolte testimonianze del mondo criminale che diedero vita a un piccolo museo, arricchitosi poi di altro materiale proveniente dalle carceri. Non solo reperti anatomici, quindi, ma documenti di varia natura, scritti, disegni, prodotti artigianali, e, più in generale, testimonianze della vita carceraria.
Lunga e piuttosto accesa fu la polemica tra Lombroso e l’Amministrazione delle carceri, allo scopo di ottenere il primato sulla raccolta di reperti attinenti il mondo delle prigioni. Polemica cui pose fine una disposizione dell’Amministrazione penitenziaria del 1908, stabilendo un’equa ripartizione dei reperti tra il museo di Torino e le raccolte conservate a Roma.

1931: nasce il museo criminale del ministero di Grazia e Giustizia

Il 28 luglio 1924 fu emanata una circolare in cui l’Amministrazione penitenziaria dispose che le armi confiscate nei procedimenti penali, che avessero pregio d’antichità, artistico o storico, non fossero poste in vendita, bensì inviate a musei, gabinetti scientifici e scuole dell’amministrazione delle carceri.
Il vecchio progetto di un museo criminale dell’Amministrazione penitenziaria proposto dal direttore generale Doria fu così realizzato circa due decenni dopo per volontà del ministro Guardasigilli Alfredo Rocco, che istituì il Museo Criminale con la circolare del 26 giugno 1930: “A cura della Direzione Generale per gli Istituti di Prevenzione e di Pena viene ordinato in Roma un Museo Criminale per raccogliere e per tenere a disposizione degli studiosi gli oggetti di maggior rilievo che attengono, anche indirettamente, alla criminalità”. La circolare stabiliva che le raccolte delle Mantellate e quelle di minore importanza conservate presso altri Uffici sarebbero state versate cedute al nuovo Museo Criminale, mentre l’art. 615 del Codice di Procedura Penale del 193° riprendeva la disposizione contenuta nella circolare del 1924 sull’invio presso il Museo Criminale di corpi di reato di interesse storico-scientifico.
Con le successive circolari emanate nel gennaio e nel dicembre 1932, indirizzate rispettivamente ai direttori degli stabilimenti di prevenzione e pena ed ai Procuratori generali presso le Corti d’Appello del Regno, la Direzione generale per gli Istituti di prevenzione e pena impartiva disposizioni in merito all’invio, da parte dei primi, presso il Museo Criminale di strumenti di tortura o di morte già in uso in epoche passate, atti di valore storico e “oggetti attinenti all’esecuzione penale che le SS.LL. ritengano di particolare interesse, o perché sono il risultato della malizia dei detenuti, o perché attengono all’opera di emenda che si svolge negli stabilimenti di prevenzione e di pena o, infine, perché costituiscono manifestazioni tipiche o singolari dello stato di detenzione”. Ai procuratori generali, cui era stata già diretta la circolare 9 dicembre 1931, n. 264, la nuova circolare ordinava d'informare il Ministero della confisca di cose che per il loro interesse storico, scientifico, artistico e tecnico meritassero di essere conservate al museo. Era chiesto, inoltre, anche di segnalare atti relativi a interrogatori, confronti, ispezioni, perizie, verbali d’udienza, sentenze ed altro che rivestissero un'importanza eccezionale per lo studio dei casi giudiziari.
Il Museo fu allestito nella vecchia prigione seicentesca delle Carceri Nuove di Via Giulia, a Roma, edificata da Papa Innocenzo X. Il museo era articolato in varie sezioni: sezione del delitto (con reperti relativi a diverse tipologie di reati, dal falso all'omicidio) - attività statale contro i delinquenti (con la rappresentazione delle tecniche investigative) - esecuzione delle pene e delle misure di sicurezza (oggetti provenienti dalle carceri, definiti, in maniera suggestiva, "malizie carcerarie", ovvero sotterfugi inventati dai detenuti per occultare armi, per evadere, per compiere atti d'autolesionismo) e infine una sezione storica contenente bandi ed editti, strumenti di tortura e d'esecuzione capitale.
Nel 1968 il Museo Criminologico fu chiuso per destinare i locali delle Carceri Nuove ad altro uso, i reperti furono depositati nel deposito del carcere giudiziario “Regina Coeli”, dove restarono fino al 1975, anno in cui il Museo (che cambierà la denominazione da Museo Criminale a Museo Criminologico) fu riallestito nel Palazzo del Gonfalone, edificio risalente al 1827, fatto costruire da papa Leone XII per destinarlo a prigione minorile.
Nel nuovo allestimento fu mantenuto l’ordine della suddivisione dei reperti per corpi di reato, strumenti di tortura e d'esecuzione capitale, indagini di polizia scientifica, anche se diversi accorgimenti furono adottati in relazione alle tecniche espositive. I reperti furono distribuiti sui tre piani dell’edificio, lungo i corridoi che erano stati recuperati abbattendo le pareti interne che un tempo dividevano i cubicoli dell’ex prigione.

Il Museo Criminologico oggi

Nel 1991 l’Amministrazione penitenziaria, consapevole dell’importante patrimonio storico-scientifico del Museo Criminologico, diede avvio a una nuova ristrutturazione con il preciso obiettivo di aprire la struttura al pubblico.
Il nuovo allestimento è stato basato su un percorso cronologico che propone una ricostruzione storica delle tappe fondamentali della storia della giustizia, dall’uso della tortura e della pena di pena di morte fino all’affermazione della pena del carcere che si afferma a partire dalla fine dell’Ottocento. Aree tematiche sono dedicate alla presentazione dei corpi di reato che dal 1930 fino agli anni recenti sono stati destinati da provvedimenti degli uffici giudiziari.
Strumenti di tortura (in parte autentici e in parte riprodotti) testimoniano la crudeltà delle antiche pratiche punitive. Tra i reperti esposti in questa prima sezione si segnalano alcune gogne (provenienti da Saluzzo, Imperia, il banco di fustigazione utilizzato a Roma, l’ascia per decapitazione, la spada di giustizia utilizzata per la decapitazione di Beatrice Cenci nel 1599), la riproduzione della Vergine di Norimberga, il collare spinato. Scudisci e fruste utilizzati nei famigerati bagni penali la cui storia è testimoniata dall’ampia raccolta di catene (ferri) provenienti da tutti i bagni penali del Regno d’Italia e utilizzati per punire, contenere o trasportare i condannati ai lavori forzati. La sedia di tortura, detta “ungherese”, di cui il museo possiede una riproduzione, rappresenta uno degli innumerevoli strumenti inquisitori utilizzati nel XVI-XVII secolo per ottenere la confessione di donne accusate di stregoneria. La “briglia delle comari”, invece è un reperto autentico, rinvenuto all’inizio di questo secolo nel fiume Adda, nel comune di Pizzighettone. Si tratta di una maschera di ferro, dotata di una lingua di ferro che, pare, fosse applicata sul volto di quelle donne accusate di maldicenza e calunnia. La sala dedicata alla giustizia sul finire del Settecento e nell’Ottocento, ospita il mantello rosso che Mastro Titta, al secolo Giovan Battista Bugatti, boia del papa, indossava in occasione delle esecuzioni in piazza, una forca proveniente da Alba, tre ghigliottine, tra queste la ghigliottina che era innalzata in Piazza del Popolo a Roma e che funzionò fino al 1869, gli oggetti che l’Arciconfraternita di San Giovanni Decollato utilizzava per il conforto dei condannati a morte (“bussole” per la raccolta delle elemosine, la veste del confortatore che aveva il compito di prendersi cura dell’anima del condannato a morte, gli stendardi con i crocifissi che venivano innalzati durante il corteo che conduceva il condannato al patibolo e i bicchieri di zinco dal quale il condannato beveva l’ultimo sorso di vino prima del taglio della testa).

La sezione dedicata all’Ottocento presenta testimonianze relative ai temi dell'antropologia criminale e della criminalistica. Gli studi di Cesare Lombroso sull’uomo delinquente sono rappresentati dal calco del cranio di Giuseppe Villella scoperta nel 1872 della fossetta occipitale, oltre che dai classici dei libri di Lombroso, tra cui L’uomo delinquente la donna delinquente, testi di Niceforo, Ferri, Sighele. Il cranio e il cervello dell'anarchico lucano Giovanni Passannante, che attentò alla vita del re Umberto I, a Napoli, nel 1878, presenti nella collezione del Museo, sono stati ceduti al Comune di Savoia di Lucania, paese in cui nacque Passannante. All’epoca dei fatti il Comune si chiamava Salvia, a seguito dell’attentato il paese assunse la denominazione di Savoia, decisione assunta come forma di “risarcimento” ai Savoia per l’attentato compiuto da Passannante.

Un breve excursus sul carcere italiano nel XIX secolo è ricostruito attraverso vecchie divise e suppellettili carcerarie; illustrazioni e piante di carceri (l’ergastolo di Santo Stefano, il carcere giudiziario di Roma “Regina Coeli” e e di Milano “San Vittore”) che illustrano i sistemi architettonici utilizzati nell’Ottocento, divise di agenti di custodia, cimeli carcerari, regolamenti , ecc.
Il tema della nascita del manicomio criminale, il cui primo esperimento si ebbe ad Aversa nel 1876, diffusosi poi in altre realtà italiane, induce a riflettere su vecchi sistemi di cura e punizione: il letto di contenzione, camicie di forza, forcina per spingere gli agitati.
Lungo il percorso si alternano testimonianze storiche di fenomeni sociali e avvenimenti di cronaca dell’Ottocento: lo spazio dedicato agli attentati politici espone, tra l'altro, la pistola con cui Gaetano Bresci uccise nel 1900 il re Umberto I e oggetti personali del regicida. Uno spazio è stato dedicato alla storia delle tecniche d’identificazione del delinquente, dal bertillonage alla dattiloscopia, alla segnalazione attraverso l’uso della fotografia e alle caratteristiche antropomorfe.

La presenza di oggetti provenienti da diverse carceri italiane, da Lombroso definiti "malizie carcerarie" rappresentano uno spaccato interessante del carcere nei primi decenni del Novecento, mentre i corpi di reato esposti in questa Sezione sono in relazione a forme tipiche di criminalità moderna, come il furto con scasso, lo spionaggio, la criminalità organizzata, (la falsificazione di opere d'arte, il falso nummario e filatelico, il gioco d'azzardo.
Un'ampia sala è stata dedicata agli omicidi ed ai fatti di cronaca che suscitarono molto scalpore negli anni del secondo dopoguerra: qui sono esposti i reperti relativi a Leonarda Cianciulli, detta la "Saponificatrice" di Correggio, la pistola con la quale la contessa Maria Pia Bellentani, nel 1946, durante una serata mondana, uccise l’amante, l’arma del delitto Graziosi, le armi della banda Casaroli, gli "strumenti" della rapina di Via Osoppo a Milano.